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Trento, 4 marzo 2001
FEDERALISMO: LA LUNGA MARCIA DELLE RIFORME
di Marco Boato
da l'Adige del 4 marzo 2001

Se si prescinde da stanche e stantìe polemiche pre-elettorali, appare evidente a tutti l'importanza fondamentale della riforma costituzionale approvata il 28 febbraio dalla Camera e che ora attende soltanto l'ultimo voto da parte del Senato, la prossima settimana, alla vigilia dello scioglimento del Parlamento.

La riforma del titolo V della seconda parte della Costituzione non realizza da sola pienamente il federalismo, né avrebbe potuto farlo, ma pone i capisaldi per una profonda trasformazione della "forma di Stato" che va nella direzione del federalismo e che valorizza non solo le regioni, ma l'intero sistema delle autonomie. Non è un caso che sia stata fortemente sollecitata da parte della Conferenza dei presidenti delle Regioni (rappresentata dal presidente del Piemonte, Ghigo, che è del Polo), ma anche da parte dell'Anci (i comuni), dell'Upi (le province), dell'Uncem (le comunità montane) e della Lega delle autonomie, con la più ampia trasversalità politica.

Tutto il sistema delle autonomie si è pienamente reso conto che già a partire dal nuovo art. 114 della Costituzione si delinea una sorta di "rivoluzione copernicana" nel nostro impianto istituzionale, che emerge con evidenza fin dal primo comma: "La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato".

Le principali innovazioni di questa riforma costituzionale riguardano in sintesi i seguenti cardini essenziali. All'art. 117 viene rovesciato il criterio di riparto delle competenze tra Stato e Regioni e viene attribuito un ruolo attivo alle regioni sia rispetto all'Unione europea, sia rispetto ad altre regioni, sia nei confronti di altri Stati o di enti territoriali di altri Stati. All'art. 118 c'è la piena costituzionalizzazione del principio di sussidiarietà, nella duplice dimensione sia "istituzionale" (o verticale) sia "sociale" (od orizzontale), quest'ultima introdotta con un mio emendamento che era stato sollecitato da tutto l'associazionismo del terzo settore e del cosiddetto "privato-sociale". All'art. 119 viene riconosciuta l'autonomia finanziaria di entrata e di spesa di tutto il sistema delle autonomie e vengono introdotti princìpi e criteri del federalismo fiscale. All'art. 123 viene previsto in ogni regione il Consiglio delle autonomie locali, per superare il rischio - di cui ha parlato recentemente il presidente Ciampi - di una sorta di neo-centralismo regionale. Inoltre, in attesa di realizzare nella prossima legislatura la "camera delle regioni e delle autonomie", si prevede la partecipazione di rappresentanti delle regioni e degli enti locali alla Commissione parlamentare per le questioni regionali: per la prima volta, di un organismo parlamentare faranno parte rappresentanti istituzionali non eletti in Parlamento.

Per quanto riguarda le cinque autonomie speciali, all'art. 116 c'è la loro piena conferma (nonostante i reiterati tentativi di depotenziamento) e c'è soprattutto il riconoscimento costituzionale che "la Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol è costituita dalle Province autonome di Trento e Bolzano". Con un solo comma aggiuntivo c'è la conferma dell'unicità dello Statuto, l'introduzione per la prima volta in Costituzione del suo assetto "tripolare" e la definizione del mutato rapporto tra province e regione, consacrando così nella legge fondamentale i princìpi fondamentali della recente riforma statutaria. Di più, con una apposita norma di rango costituzionale vengono rese immediatamente applicabili alle autonomie speciali tutte le disposizioni più favorevoli contenute in questa riforma costituzionale (basti pensare al venir meno del visto governativo sulle leggi).

Non si tratta, ovviamente, di un disegno organico e compiuto di riforma dell'intera seconda parte della Costituzione. Quel disegno era contenuto nel progetto della Bicamerale, che Polo e Lega bloccarono il 2 giugno 1998. È dunque incredibile e paradossale che proprio da parte loro si levi oggi l'accusa di incompletezza del disegno riformatore: una inevitabile incompletezza, che deriva dalle scelte fatte dal centro-destra a metà legislatura.

Eppure negli ultimi due anni il Parlamento ha saputo, sia pure con le procedure ordinarie dell'art. 138 della Costituzione e quindi con interventi più limitati, riprendere il processo riformatore.

"Giusto processo" (art. 111), diritto di voto degli italiani all'estero (artt. 48, 56 e 57, ma manca ancora la legge ordinaria di attuazione), elezione diretta dei presidenti delle Regioni, norme "antiribaltone" e autonomia statutaria (artt. 121, 122, 123 e 126), riforma dei cinque Statuti delle autonomie speciali: queste sono le tappe fondamentali di una lunga marcia di riforme costituzionali, che in questa legislatura si conclude positivamente con il federalismo, ancora parziale ma essenziale.

A fronte di tutto questo mi pare perdano di qualunque credibilità le accuse strumentali di questi giorni, mentre vanno accolte col massimo di attenzione le indicazioni sull'ulteriore percorso riformatore per la prossima legislatura. Basti pensare al bicameralismo differenziato (una Camera politica e una Camera delle autonomie), alla integrazione della Corte costituzionale (che avevo già previsto come relatore della Bicamerale sul "sistema delle garanzie"), ma anche ad un necessario rafforzamento della forma di governo: un federalismo forte richiede anche un interlocutore Governo costituzionalmente "forte", altrimenti si squilibra tutto il sistema. Questa è l'agenda dei lavori per il futuro, che comprende anche il completamento della riforma del nostro Statuto di autonomia (nuovo ruolo della Regione e adeguamento alle positive innovazioni del federalismo).

Sono temi di enorme importanza, di cui val la pena discutere pubblicamente sugli organi di informazione, non solo tra "addetti ai lavori". È anche un modo per ridare nobiltà ai compiti della politica e al confronto democratico con i cittadini.

 

  Marco Boato

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